Un investigatore privato alto un pollice, questo era l'infallibile detective creato da Hanna & Barbera in questo cartone dal titolo originale Inch High Private Eye, che denota la brillante abitudine della casa di produzione di giocare con le parole e con le rime. Se Super Chicken con i suoi martini era una non molto velata parodia di un personaggio politico realmente esistente, Inch High era invece una parodia di un personaggio di fantasia, ossia l'agente 86 Maxwell Smart dello show Get Smart, superbamente interpretato da Don Adams, a sua volta già parodia di personaggi come James Bond e l'ispettor Clouseau della Pantera Rosa, protagonisti assoluti dello spionaggio sul grande schermo. Uno show creato dal Mel Brooks, quindi, dal risultato assurdamente comico e surreale garantito.
Come desumibile dal titolo, il cartone narra le avventure di un abile detective in miniatura alto appunto solo un pollice, coadiuvato dalla fdua bella assistente e nipote Lori (Laurie) , il fidanzato di quest:ultima Gator, e il loro cane un San Bernardo chiamato Cuordileone (Braveheart). Egli lavora per l'agenzia Finkerton, chiarissima storpiatura della famosa agenzia Pinkerton, molto familiare ai cultori delle storie e film sul Far West e la Guerra di Secessione americana.
Con il titolare dell'agenzia, il signor Finkerton, ha un rapporto conflittuale e infatti quest'ultima cerca sempre di interferire, infiltrandosi tra i criminali, nelle operazionj in cui Inch Eye è coinvolto e finisce con l'arrabbiarsi con lui e chiamarlo testa di legno quando la sua coperture salta Sogna di poterlo licenziare un giorno e trova sempre un modo per non esserte soddisfatto del brillante operato del mini investigatore. A completare il quadro dei personaggi, c'è anche la signora Finkerton. Vestito del suo immancabile trench verde, Inch Eye risolve tutti i casi grazie alla sua Hushmobile, una automobile silenziosissima, quasi levitante, e adatta a inseguire i criminali senza farsi notare. Ma soprattutto grazie alle sue dimensioni che gli permettono di nascondersi ovunque per raccogliere indizi e questa caratteristica diventa naturalmente fonte di situazioni comiche. L'altro lato della medaglia è che le sue dimensioni lo mettono sovente in situazioni di pericolo ma alla fine, grazie ai suoi aiutanti, riesce sempre a cavarsela.
Astroganga è una serie animata del 1972, la prima robotica a essere trasmessa a colori. E' un cartone animato che ha sicuramente dei punti in comune con quelli dello stesso genere:
- terra minacciata da nemici alieni;
- un robot che difende la terra scontrandosi ad ogni puntata con un nuovo nemico;
- un pool di scienziati che lavorano dietro le quinte per assicurare la vittoria del genere umano.
Tuttavia, questi ingredienti sono mescolati in una storia con dei punti originali come vedremo ora con ordine, dando un'occhiata alla trama.
Maya, una donna e scienziata aliena, fugge dal suo pianeta distrutto portando con sé un lingotto di "metallo vivo". E' sopravvissuta alla distruzione del suo pianeta da parte dei Blaster, alieni e invasori, che, nel processo di sottrarre l'ossigeno necessario alla loro sopravvivenza, devastano gli altri pianeti.
Maya, arrivata sulla Terra, incontra e sposa uno scienziato, il professor Giugar (Hoshi), il quale espone il lingotto di "metallo vivo" al calore infernale di un vulcano sottomarino: il metallo vivo si autoforgia in Astroganga. Come mostrato nelle puntate successive, il calore del vulcano sarà necessario ad Astroganga per rigenerarsi, ripararsi, assorbire energia. E già qui è evidente una prima grande differenza rispetto agli altri robot: Astroganga non è un ammasso di circuiti, è materia dotata di vitalità e intelligenza proprie, forse non è nemmeno un robot, al di là delle dimensioni gigantesche dei suoi 40 metri di altezza. Ma torniamo alla trama.
Prima di morire a causa degli effetti delle radiazioni a cui era stata esposta, Maya da alla luce un figlio che, nel doppiaggio italiano, viene chiamato Charlie e lascia una coppia di medaglioni che dovrà servire per il processo di entrata in simbiosi di Charlie con Astroganga: infatti - avverte - Astroganga sarà un'arma formidabile contro i Blaster (che nel frattempo si stanno preparando ad attaccare guarda caso la Terra) solo se agirà sinergicamente ad una intelligenza umana.
Ed ecco quindi un'altra fondamentale peculiarità di questo cartone: Charlie, una volta cresciuto fino alla veneranda età di 10 anni, non piloterà Astroganga ma si fonderà ad esso, trasformandosi in energia che viene richiamata dal medaglione posto sul petto di Astroganga una volta connessosi a quello sul petto di Charlie.
Risulta quindi che Astroganga ha sì emozioni ed intelligenza umane ma ha bisogno della simbiosi con Charlie per padroneggiarle e affrontare efficacemente le battaglie.
Un'altra peculiarità di Astroganga è l'assenza di armi: niente alabarde spaziali o missili piazzati in zone erogene, le vittorie sono garantite a suon di pugni e colpi a taglio. Tuttavia, Astroganga, è in grado di volare e chiedete a Mazinga Z, che aveva bisogno di agganciarsi al Jet Scrander, se questa è roba da poco.
E nel gran finale, Astroganga si rivela persino in grado di prendere decisioni drastiche e autodeterminarsi.. .e non vi dico di più per non spoilerare.
Qui alcune immagini che mostrano i vari personaggi: oltre a Ganga e Charlie, ci sono Maya, il professor Giugar, Cindy (una amica di Charlie, figlia del Maggiore Bronson), i blasters (tutti identici fra loro a meno del numero identificativo), il nonno di Charlie e i signori Bronson.
Astroganga (Astroganger)
Charlie (Kantaro)
I blaster
Prof. Giugar (Hoshi)
Maya
dott. Moses - il nonno
Cindy (Rie)
Maggior Bronson (Mr Hayakawa)
Sig. Bronson (Mrs Hayakawa)
Sottovalutata è la sigla: per lo meno, a me piace molto ed è per questo che l'ho riconosciuta immediatamente quando uno spezzone è stato usato nello spassosissimo film Cornetti alla Crema anche se Lino Banfi si ostina a chiamare Ulrico "Mazinga" anziché "Ganga", stando alla musica.
Oggi si parla dell’Invincibile Shogun, serie animata di 46 episodi, rientranti nel genere Manga Mitokōmon ossia quelle storie a fumetti più o meno liberamente ispirate a personaggi realmente esistiti. Nello specifico, il personaggio qui protagonista, lo Shogun Mitsukuni Mito, è anche piuttosto fedelmente ispirato alla figura del signore feudale Tokugawa Mitsukuni, una sorta di potente latifondista che viveva nella regione giapponese attorno alla città di Mito, che infatti ricompare nel nome del personaggio principale dell’anime. Una caratterizzazione piuttosto fedele a parte il titolo di shogun che in realtà presuppone un potere dittatoriale che non è prerogativa né del personaggio della serie né del personaggio storico (seppur discendente da uno shogun il che lo rendeva al massimo un vice-shogun), un termine quindi usato più alla ad mentula canis.
I punti in comune tra il personaggio storico e quello fictional sono parecchi. In primo luogo, secondo quanto trasmesso dalla tradizione orale dei cantastorie, Tokugawa, esattamente come nel cartone animato, usava circolare nelle suo feudo accompagnato da due fedelissimi servitori: il samurai Suke, dotato spadaccino, e il samurai Kaku, uomo dall’incredibile forza fisica, che nell’anime viene potenziata indossando la fascia della potenza. Lo faceva in incognito, travestito da contadino, così potesse osservare da vicino i comportamenti reali e incondizionati dei suoi subalterni e delegati (quelli che nella nostra società medievale avremmo chiamato vassalli, valvassini e valvassori) nei confronti degli ultimi, punendone abusi e vessazioni. E qui risulta anche evidente un ulteriore punto in comune tra il personaggio storico e il protagonista dell’anime: un temperamento mite e un profondo senso di giustizia, probabilmente anche il frutto di una mente aperta e dedita allo studio e alla ricerca (Tokugawa era anche una sorta di pensatore e mecenate). Il singolare comportamento del feudatario, quello di aggirarsi in incognito, per assicurare che i suoi territori fossero amministrati con rettitudine e equità, contribuì a creare il “mito” (è il caso di dirlo) attorno a questo personaggio storico, tanto da diventare il protagonista, ancora prima che del manga e dell’anime, di uno sceneggiato trasmesso sulla TV giapponese negli anni 50.
E non finisce qui. Esiste un anime della casa di produzione Sunrise, credo mai arrivato in Italia, di genere robotico, che ancora si ispira al mito dei Tokugawa, solo che stavolta il feudo si estende su diversi sistemi stellari e il robot Daioja, dal design molto simile ad altri robot della stessa casa di produzione come Daitarn III e Trider G7, è il mezzo con cui il principe Mito, facendo viaggi intergalattici incogniti, assicura una amministrazione improntata alla giustizia in tutto lo spazio.
Ritornando al nostro anime, ogni puntata ricalca queste dinamiche presentandosi con il tipico schema: lo shogun con i suoi samurai si imbatte in qualche prepotente che commette abusi su contadini e povera gente; Suke e Kaku affrontano i suoi scagnozzi, battendoli grazie al Taglio a croce della spada di Suke e la forza a mani nude di Kaku, moltiplicata dalla fascia della potenza; alla fine, Suke tira fuori un vessillo di stoffa con il simbolo nobiliare (la malvarosa, proprio il simbolo di Tokugawa) di Mitsukuni Mito e intima a tutti di inchinarsi di fronte a quella leggenda vivente; gli spettatori si chiedono perché non lo abbia tirato fuori prima (risposta: per lo stesso motivo per cui il Daitarn usa l’attacco solare solo dopo innumerevoli danneggiamenti).
La serie animata è resa leggera dalla presenza di alcuni coprotagonisti e compagni di viaggio come l’orfano Sutemaru con il suo cane Dembé e Okoto, una ragazza che compare solo nella prima parte della serie.
I protagonisti tutti insieme appassionatamente:
Ed ecco una delle due sigle, “Tamashio Chambara”.
Una nota a margine: una delle poche cose belle e geniali, in mezzo a tante follie, generate nell'era C0v1d è stato questo Meme.
Quale mese è migliore del
lugubre novembre per parlare di horror? No, non è un post sullo Zio Tibia Picture Show, è un post su alcune mode che
negli anni a cui questo blog fa riferimento esplosero con gran velocità e
pervasione (o perversione?) e con la stessa velocità implosero e che, neanche a dirlo, non sono
ricordate per buon gusto.
Iniziamo dalla meno
orripilante così da guidarvi un crescendo di pacchianeria che si mescolerà alla
vostra perplessità per la serie “oh, ma davvero stai a dì?”.
1)Pupazzetti
a pinza da attaccare a vestiti e zaini
Infantile si ma tutto sommato accettabile questo vezzo di attaccare piccoli peluche vhe nascondevano un meccanismo a pinza tra le braccia che permetteva di attaccarli ad abiti, borse, marsupi e zaini scuola. Ce ne erano infinità di varianti e colori tra orsacchiotti, koala, cagnolini, scimmiette, coniglietti. Modelli che rappresentavano animaletti anonimi, con vestitini o con la loro nuda pelliccia, e altri che rappresentavano celebrità fra gli animaletti come Poochie o Monciccì.
2)Braccialetti di cordoncino
Quando i mezzi erano pochi e il "baccalà fuggito" (baccalé fejeut) era principe indiscusso delle nostre tavole - sì eravamo nel boom economico, ma allora c'era un sano sistema di priorità che ci imponeva prima il risparmio per l'acquisto della prima casa, poi il risparmio per gli imprevisti della vita e per la futura vecchiaia e poi tutto il resto - anche per essere alla moda ci si arrangiava come si poteva. Ed ecco che 12 cm di cordoncino colorato, meglio se nei nuovi colori giallo, verde e fucsia fluorescenti - preso in merceria a 100 lire diventava un braccialetto una volta che le estremità venivano fuse e unite con l'aiuto di un fiammifero. Io ne portavo una decina per ogni braccio.
P.S. una volta ne rubai uno in merceria, primo e ultimo furto della mia esistenza. Ebbi tante di quelle legnate da mia madre che la parola "onestà" mi è restata tatuata su ogni singola cellula.
3)Mollettoni
per i capelli con i fiori
Come se i mollettoni di plastica - gli stessi che oggi fortunatamente si usano solo per separare le ciocche durante la piega - non fossero già abbastanza brutti da sfoggiare, in commercio arrivò un'ondata di mollettoni a buon mercato con grossi fuori attaccati su uno o entrambi i lati. Fiori rigorosamente in tinta: mollettone rosso con garofano rosso, mollettone giallo con margheritone giallo, mollettone rosa con rosa rosa. Immaginatevi l'effetto con i capelli scalati a la Rod Stewart, cotonati a la Cyndi Lauper o raccolti a la Brigitte Bardot.
4)Ciuccetti di plastica
Da appendere a bracciali, collane, cerniere, erano praticamente ovunque. Ognuno di noi ne indossava svariati, tutti di plastica ma di varie dimensioni, di vari colori, trasparenti o opachi. Le bancarelle ne erano invase, li vedevi su ogni teenager, ragazza o ragazzo che fosse, e talvolta anche su adulti. Si vendevano anche collane che erano pesanti ammassi di ciuccetti variopinti. Una moda che dilagò fulminea e scomparve con la stessa velocità di un tormentone estivo quando iniziano a cadere le foglie. Qua si viaggiava verso i '90.
5)Frontini
imbottiti per capelli
I frontini per i capelli, oggi in disuso, sono stati accessori per i capelli molto popolari per decenni. Ma ricordo un anno, in particolare, in cui divennero di gran moda, conobbero un nuovo slancio, in particolare quelli di stoffa imbottiti, in varie fantasie e colori. E la vera particolarità era che li indossavano tutti, anche molti uomini dato che allora molti avevano capelli folti, ribelli e medio-lunghi. Un trend fashion che oggi non potrebbe esistere considerando l'alta diffusione di alopecia maschile.
6) La ciabatta infradito con le bande di spugna arcobaleno
Ciabatta infradito con suola multicolore di gomma schiuma con le bande in spugna di cotone color arcobaleno. Al di là della pacata sobrietà dei colori, quello che mi colpiva erano i 5 inserti ovali per ogni suola, ognuno di colore e dimensione differente, che rappresentavano le 5 dita sotto le quali si andavano a posizionare. In realtà quello che mi colpiva davvero è che erano estraibili, per cui persone troppo inclini a toccarsi costantemente i piedi, ci giocherellavano, staccandoli e riattaccandoli, tra una toccata e una grattata
.
7)La
ciabatta di plastica a bande incrociate
La detesto ma ce l'ho ancora e la uso solo per entrare nella mia ampia doccia quando devo pulirla, detestando ancora di più l'idea di entrare in doccia con scarpe mentre faccio le pulizie.
Non so se la detesto più per la sua durezza o scomodità o perché sono rasoterra (ehm ho sempre bisogno di un po' di slancio) o perché l'associo ad un uomo del vicinato, che la indossava, che odiava i bambini che giocavano in strada e più volte ci ha sequestrato il pallone e lo ha tagliato davanti ai nostri occhi addolorati. Il modello è detto Mexican immagino, ma è una mia interpretazione, perché l'incrocio e la trama bucherellata ricorda le ciabatte di fattura precolombiana (le huarache) che venivano realizzate intrecciando il cuoio.
8)Le
spalline oversize
Un altro articolo che detestavo erano le spalline che purtroppo in quegli anni venivano cucite di default sotto la fodera di ogni giacca, ma anche presenti nei cardigan, camicie e persino maglioni.
Per me che avevo già grandi spalle larghe e alte, indossarle significava fare scomparire definitivamente il collo. Se già odiavo visceralmente le spalline a giro, l'odio raggiungeva livelli da Iriza Legan quando si trattava delle ancora più orribili spalline a kimono che sformava la figura di coloro che le indossavano facendoli sembrare, almeno nel mio immaginario fanciullesco, degli alieni.
9)Il
ritorno della scarpa ad occhio di bue
Mentre oggi i bambini indossano scarpe piene di lustrini e brillantini, i bambini nati negli anni '70 conoscevano soltanto un tipo di calzature: le scarpe ad occhio di bue. Nere, austere, pesanti ma di ottima fattura come mi viene ancora rinfacciato: "Da piccola ti compravo la roba buona (...non pensate male!), le scarpe delle Balducci!".
Immaginate la felicità quando l'obbrobrio di quei buchi sorridenti sulla tomaia è ricomparso sulle nostre scarpe di adolescenti e degli adulti. Immaginate questi buchi quando potevano sembrare ridicoli su chi indossava un 45 di scarpe. In più, la scarpa era riapparsa con materiali più leggeri, come il gros-grain, in maniera da poter essere indossata d'estate, senza calzini, con gli spazi tra le dita che si vedevano dai buchi.
10)Portachiavi
di vero visone
Chiudo con l'articolo, a mio parere, più kitsch della panoramica: il portachiavi fatto con la coda o la zampetta vera di visone con tanto di unghiette ancora attaccate. Era il tempo in cui le pellicce vere erano considerate un capo elegante e lussuoso, un status symbol a cui molte massaie ambivano. Le pelliccerie erano business molto proficui e potevano permettersi di sponsorizzare trasmissioni e quiz in TV. Non era infrequente quindi che circolassero gli scarti di lavorazione, come appunto le zampette, che venivano utilizzati per creare "deliziosi" accessori. Per fortuna, almeno su questo, il gusto si è un tantino evoluto.
Dopo aver parlato di diversi anime giapponesi, americani e persino australiani, diamo oggi spazio all'animazione ungherese con un cartone animato di cui io ho pochi ricordi ma piuttosto vividi: sembra che nessun altro delle persone da me interpellate se ne ricordi.
Sto parlando di un cartone animato che veniva trasmesso nel primo pomeriggio di domenica su Rai 2, subito dopo il TG e le varie rubriche che si susseguono all'ora di pranzo: il coniglio dalle orecchie a scacchi, prodotto in Ungheria con il titolo A kockásfülu nyúl.
Ne ricordo la sigla/principio di ogni puntata come fosse ieri. Questo simpatico coniglietto dalle orecchie lunghissime si svegliava e fuoriusciva da un baule in soffitta, si stiracchiava, usciva sulla terrazza e guardava in giro dal suo cannocchiale finché una qualche scena, ad ogni puntata diversa, catturava la sua attenzione. Ed ecco che si catapultava sulla scena in aiuto di qualche bambino puntualmente in difficoltà volando grazie alle sue orecchie che attorcigliava - come per dare la "carica"- per poi farle girare, srotolandole, neanche fossero pale del rotore di un elicottero. I protagonisti delle storie sono 4 bambini:
- Kriszta, una preadolescente, alta e snella, con i codini corvini che è quella che sviluppa una amicizia più intensa con il coniglio;
- Menyus, un ragazzino dai capelli rossi
- Kistöfim, un bambino molto piccolo dai capelli biondi
- Mozdony, un nerboruto ragazzo prepotente e bullo
Questi nomi li ho dovuti ricercare sui siti ungheresi perché, in realtà, il cartone animato è muto, solo accompagnato da musiche, e quindi non ci sono dialoghi da cui dedurli.
Qui alcune immagini in cui è possibile riconoscere i bambini appena descritti:
Il cartone animato ebbe un enorme successo nazionale e anche una discreta diffusione internazionale (infatti, l'assenza di dialoghi - solo sottotitoli - lo rendeva molto facilmente esportabile); ciononostante, solo successivamente la sua popolarità ebbe sfogo nel merchandising portando nelle case degli ungheresi la versione a peluche del protagonista della serie, solo una volta che l'austera influenza della ex-URSS si era frantumata. Nella semplicità di questo cartone animato privo di dialoghi e che quindi doveva avere storie molto semplici per essere narrate solo attraverso le immagini, c'era qualcosa di magnetico per me che mi ha fatto sperare per anni - allora non c'era ancora il web - di poterlo rivedere e dare un nome ai mei ricordi di bambina anche piuttosto piccola: sono molto contenta di poter reperire tanto materiale utilizzando il titolo originale. Ho anche scoperto che il coniglio dalle orecchie a scacchi è una delle quindici mini statue di soggetti POP (tra cui Kermit the frog del The Muppet Show, il cubo di Rubik,...) realizzate dall'artista Mihály Kolodkoche sono disseminate a Budapest, chicca di cui purtroppo non ero a conoscenza quando nel 2023 ho visitato questa bellissima città.
Ed ecco qui un episodio comprensivo della sigla che, nelle immagini visualizzate nel cannocchiale, introduceva già l'avventura della giornata.
Scrivo questo post improvvisato dopo aver assistito ieri allo spettacolo dell'incommensurabile Nino Frassica, insieme alla Los Plaggers band, al TeatroTeam di Bari che mi ha ricordato i fasti della televisione di un tempo, quando la TV geniale, sperimentale, leggera e spensierata eppure di qualità andò in onda a due riprese: prima con Quelli della notte (aprile-giugno 1985) e poi con Indietro tutta! (dicembre 1987 - marzo 1988).Un manciata di mesi di messa in onda per farne un pezzo importante della storia della TV, come solo grandi visionari e innovatori come Renzo Arbore possono fare e come anni di altre trasmissioni e pacchi non potranno mai fare.
Vengono tristezza e scoraggiamento a comparare quella TV alla attuale TV del vuoto o del dolore dove, grazie anche a figure come Costanzo e De Filippi, si è dato enorme spazio a gente presuntuosa, arrogante, senza arte né parte e tantomeno educazione, capace di portare in TV il dramma più becero e il nulla cosmico. Lo so che lì fuori ci sono tanti fan di Maria che farò arrabbiare ma è quello che onestamente penso di tutte le tue trasmissioni e, in particolar modo, di Uomini e Donne, elogio della volgarità e dell'analfabetismo. Ma torniamo a noi, ho dedicato già troppe righe a parlare di porcherie che non meritano attenzione.
E' stato invece rincuorante come tutto il pubblico ieri potesse ancora ricordare tutte le parole di canzoni come Grazie dei fiori bis, Sì la vita è tutto un quiz, Vengo dopo il Tiggì, Il materasso e Ma la notte no, tenuta per il finale. Significa che le cose belle e ricche di calore lasciano ancora il segno. Naturalmente lo spettacolo è stato molto più di questo, con la capacità di Frassica di lanciare una freddura dopo l'altra senza tregua - se non stavi attento ti perdevi 3 battute al secondo - nonché la sua straordinaria abilità nell'improvvisazione e il suo talento , come dice qualcuno vicino a me, nell'imbrogliare i fatti, cosa quest'ultima che rende la sua comicità peculiare e distintiva, similare solo a quella di pochi (mi viene in mente il Mago Forest, altro comico che adoro e che probabilmente ne è stato influenzato). Ma per quanto parlerei per ore di una serata che è stata davvero piacevole e divertente e del fatto che ho anche avuto l'onore di stringere la mano del sig. Frassica, lo scopo di questo post è di celebrare quel tipo di TV semplice ma sofisticata per il tanto lavoro autoriale e non solo autoriale che c'era dietro, allusiva ma mai volgare, popolare ma colta che ci divertiva e faceva sognare e ci faceva rimanere incollati alla TV in seconda serata, nonostante quella sonnolenza fisiologica dei giorni feriali, sapendo che all'indomani sarebbe stato faticoso svegliarsi presto per la scuola (come era nel mio caso) o per il lavoro (per i più grandi).
Il format di Quelli della notte prevedeva la presenza di numerosi volti noti della TV che, intrepretando improbabili personaggi, si riunivano nel "salotto" di Renzo Arbore per animare dibattiti sconclusionati e surreali. Per esempio, lo stesso Frassica interpretava un bizzarro frate, Andy Luotto un meteorologo arabo, Maurizio Ferrini (noto anche come la signora Coriandoli) un comunista romagnolo. E' qui chiaro che si trattava della satira del nuovo format, quello del salotto televisivo, che stava prendendo piede e in particolare, in Italia, trovava la sua più popolare espressione con il Maurizio Costanzo Show. E non posso che chiedermi: se Arbore riusciva a fare un capolavoro di satira prendendo di mira quelle trasmissioni tutto sommato non male, cosa potrebbe fare prendendo come obiettivo la moderna TV spazzatura?
E in chiusura tutti questi strambi personaggi si riunivano per cantare la sigla, la già citata Ma la notte no.
Il format di Indietro tutta! continuava a essere una satira della TV di quei tempi e dei suoi stereotipi prendendo questa volta di mira i giochi a premi e trasmissioni sempre più attente agli aspetti commerciali, con i messaggi promozionali e frequenti interruzioni pubblicitarie, e vallette sempre più svestite qui rappresentate dalle ragazze coccodé. Una deriva che nel tempo non ha fatto altro che consolidarsi ed estremizzarsi, soprattutto con l'espansione sul mercato delle reti Mediaset (allora chiamata Fininvest) abbassando gradualmente il livello culturale. Una format che definire profetico è un eufemismo. Divenne trampolino di lancio per nuovi talenti come Francesco Paolantoni, Michele Foresta (mago Forest), Maria Grazia Cuccinotta allora nel ruolo di valletta.
E per non essere da meno ai nuovi format emergenti, anche Indietro tutta! aveva uno sponsor, immaginario sì, ma che sponsor! Era il fantasmagorico Cacao Meravigliao il cui momento veniva accompagno dai sound brasileri della canzone scritta appositamente per la gag e cantata da una giovanissima Paola Cortellesi. Ed è con questo momento sponsor che vi lascio portando l'attenzione a quando la TV era colore, costumi, coreografie, risate.
Quella appena passata è stata
per me una estate ricca di eventi tra cui diversi concerti di band iconiche
degli anni ’70 e ’80 per cui un reportage è praticamente d’obbligo su questo
blog vintage, seppur con qualche mese di ritardo (non avevo ancora in mente di tornare a scrivere). Due di
questi eventi, quelli a Bari, sono stati organizzati da Bass Culture e mi
auguro con tutto il cuore che gli organizzatori continueranno ad offrirci per gli anni futuri
concerti con artisti di tale calibro senza la necessità per noi pugliesi di dover vendere un rene per raggiungere Roma, Milano, Lucca, Bologna, tra
biglietti (sempre troppo costosi), spese di viaggio e soggiorno, senza contare
l’investimento di tempo ed energia.
Andiamo per ordine
cronologico, pubblicherò alcune foto che ho scattato durante tali serate. Ho anche pubblicato alcuni reels sul mio profilo pubblico instagram dedicato a viaggi, concerti ed eventi:
Grande Energia sul grande
palco allestito alla Fiera del Levante! Il concerto si è aperto con grandi
effetti sul ritmo trascinante di Wild Boys, per poi proseguire con i più grandi successi
che ho cantato a squarciagola: Hungry like a wolf, Rio, ComeUndone, The reflex, Notorious, A view to a kill, solo per citare alcune delle più famose canzoni
del loro repertorio a cui si sono aggiunte alcune cover come Psycho Killer dei Talking Heads.
Tutti i componenti mi sono
parsi in gran forma, musicalmente parlando e lui, Simon Le Bon, sebbene con il
fisico un po’ appesantito (a Bari diremmo che ha la vendrod de la Peròn), non smetteva di ammaliare con il suo fascino, la sua
voce potente, le movenze e il grande garbo con cui si rivolgeva al pubblico
cercando anche di comunicare in italiano. Del resto qui stiamo parlando di Simon Le Bon, mica pizza e fichi, l'idolo delle paninari di Piazza San Babila e non solo, il rivale per antonomasia di Tony Hadley (chi può dimenticare la guerra tra fan base Duran Duran vs Spandau Ballet?), un fenomeno di massa tale da meritare, qui in Italia, il film "Voglio sposare Simon Le Bon". Eppure chi lo ha incontrato all’aeroporto di
Bari-Palese, dove i Duran Duran sono giunti con un volo privato, lo ha
descritto molto affabile e disponibile a fare foto con i fans. Che dire poi di
John Taylor dalla bellezza che non teme il tempo e la solitaria eleganza delle
sue posture. Ho vissuto momenti di vera magia quando Simon ha imbracciato la chitarra e ha cantato sulle note di Save a Prayer che è la mia preferita. Mi spiace che sia mancata in scaletta Skin Trade.
Evento all’interno del Ferrara
Summer Festival, un cartellone di tutto rispetto con artisti come Judas Priest, Slipknot, Massive Attack. Ne è valsa la pena sostenere diverse ore di viaggio in treno da Bari a Bologna per poi prendere in direzione Venezia e scendere a Ferrara, tutto al caldo afoso di luglio: questo concerto non ce lo saremmo persi per nulla al mondo visto che era l'unica data in Italia, i componenti della band invecchiano e saranno probabilmente meno disponibili in futuro a fare viaggi intercontinentali.
La serata è stata grandiosa, eccellente modo di festeggiare 50 anni di Lynyrd Skynyrd, ben 4 chitarristi sul palco ad accompagnare il buon vecchio rock del sud, schitarrando su pezzi che non hanno bisogno di presentazioni, in primis, la vecchia Sweet Home Alabama, che definirei patrimonio dell'umanità, ma anche Simple man, Tuesday's gone, That smell, Call me the breeze e altre ancora.
Poi momento di pura commozione sulle note di Free Bird, con il cantante e frontman Johnny Van Zant che,
dopo la prima strofa, si è ritirato dietro le quinte, lasciando il palco a un microfono vestito di bandiera e cappello appartenuto al fratello Ronnie, mentre Ronnie cantava da un vecchio video in perfetto sincrono con i musicisti in live. E la visiera del mio cappellino del Generale Lee nascondeva la mia evidente emozione dagli sguardi indiscreti di estranei.
Serata di Grande Rock targato anni 80 al Sequoie Park di Bologna, dove finalmente ho visto dal vivo - e dal posto in 4a fila - quel volto di gran figo che ammiravo sulle copertine del Cioè, Joey Tempest.
Gli Europe hanno letteralmente spaccato! Grande apertura con grandi successi quali Rock the night e Carrie e, passando per Open your heart, Superstitious, Cherokee, si sono tenuti per il gran finale la leggendaria The final countdown . Del resto con un titolo del genere, non poteva essere altrimenti. Nomen omen.
Il finale ha scatenato una vera presa d'assalto del palco che mi ha permesso di scattargli delle foto a distanza ravvicinatissima.
Performance super di tutta la band ma in particolare di Joey che conserva tutta la sua potenza vocale, nonostante i salti, i passi di danza, le corse da una parte all'altro del palco. Grandioso! Dove si firma per essere così dopo i 60 anni?
Bonus della serata: nell'attesa del concerto, ci siamo ascoltati alcuni brani eseguite di persona pirsonalmente dall'incommensurabile Marcus Miller, che dava un concerto nell'area limitrofa.
Vibrazioni funky di nuovo alla Fiera del Levante per questo concerto di Nile Rodgers con i suoi Chic. un grande nome nel firmamento musicale, un vero genio, una legenda della musica con i suoi riff che hanno fatto storia e una vena creativa che conosce pochi rivali a prolificità.
E questo concerto è stato, giustamente, un vero tributo alla carriera e alla vita di Nile Rodgers che oltre a scrivere per gli stessi Chic di cui fa parte, ha scritto brani per artisti di grande livello: Diana Ross, Madonna, i Duran Duran, David Bowie, Sister Sledge, Daft punk. E ancora continua a scrivere vincendo, di recente, un grammy per una canzone scritta per Beyonce.
Insomma, difficile riassumere in poche righe cosa Nile Rodgers rappresenti nell'industria musicale, il padre del disco funky anni '70, perciò farò parlare la sua musica.
Infine, cosa che ho apprezzato da morire, lo stesso Nile Rodgers si è lanciato nella performance della celeberrima e più iconica canzone rap che mi viene in mente: Rapper's delight, nata come plagio di Good times, come riconosciuto dai tribunali. E a giusta ragione: per non riconoscere il giro di basso bisognerebbe essere sordi.
Chiudo con un grandissimo artista che ci ha lasciato pochi giorni fa: James Senese. Non godrà della fama internazionale degli altri, ma in Italia il riconoscimento del suo talento di artista e polistrumentista di strumenti a fiato (in particolar modo il Sax) è indiscusso e possiamo dire che a Napoli la sua popolarità probabilmente segue a ruota quella di Maradona e di Pino Daniele.
Insieme a quelli di Napoli Centrale ha creato un genere musicale tutto suo che mescola, jazz, funky e napoletano, lega l'attaccamento alla terra e alle radici con la multiculturalità (egli stesso era figlio di un soldato afroamericano), celebra lo scambio, il viaggio, le origini, collaborando con lo stesso Pino Daniele.
Sul mio profilo instagram sopra linkato trovate i reel di questa magica serata incorniciata dalle mura aragonesi del mio paese ma qui lo voglio ricordare in questo pezzo che ascolto spesso e sempre con grande emozione.