domenica 30 novembre 2025

Inchinatevi!

Oggi si parla dell’Invincibile Shogun, serie animata di 46 episodi, rientranti nel genere Manga Mitokōmon ossia quelle storie a fumetti più o meno liberamente ispirate a personaggi realmente esistiti. Nello specifico, il personaggio qui protagonista, lo Shogun Mitsukuni Mito, è anche piuttosto fedelmente ispirato alla figura del signore feudale Tokugawa Mitsukuni, una sorta di potente latifondista che viveva nella regione giapponese attorno alla città di Mito, che infatti ricompare nel nome del personaggio principale dell’anime. Una caratterizzazione piuttosto fedele a parte il titolo di shogun che in realtà presuppone a un potere dittatoriale che non è prerogativa né del personaggio della serie né del personaggio storico (seppur discendente da uno shogun il che lo rendeva al massimo un vice-shogun), un termine quindi usato più alla ad mentula canis. I punti in comune tra il personaggio storico e quello fictional sono parecchi. In primo luogo, secondo quanto trasmesso dalla tradizione orale dei cantastorie, Tokugawa, esattamente come nel cartone animato, usava circolare nelle suo feudo accompagnato da due fedelissimi servitori: il samurai Suke, dotato spadaccino, e il samurai Kaku, uomo dall’incredibile forza fisica, che nell’anime viene potenziata indossando la fascia della potenza. Lo faceva in incognito, travestito da contadino, così potesse osservare da vicino i comportamenti reali e incondizionati dei suoi subalterni e delegati (quelli che nella nostra società medievale avremmo chiamato vassalli, valvassini e valvassori) nei confronti degli ultimi, punendone abusi e vessazioni. E di qui risulta anche evidente un ulteriore punto in comune tra il personaggio storico e il protagonista dell’anime: un temperamento mite e un profondo senso di giustizia, probabilmente anche il frutto di una mente aperta e dedica allo studio e alla ricerca (Tokugawa era anche una sorta di pensatore e mecenate). Il singolare comportamento del feudatario, quello di aggirarsi in incognito, per assicurare che i suoi territori fossero amministrati con rettitudine e equità, contribuì a creare il “mito” (è il caso di dirlo) attorno a questo personaggio storico, tanto da diventare il protagonista, ancora prima che del manga e dell’anime, di uno sceneggiato trasmesso sulla TV giapponese negli anni 50. E non finisce qui. Esiste un anime della casa di produzione Sunrise, credo mai arrivato in Italia, di genere robotico, che ancora si ispira al mito dei Tokugawa, solo che stavolta il feudo si estende su diversi sistemi stellari e il robot Daioja, dal design molto simile ad altri robot della stessa casa di produzione come Daitarn III e Trider G7, è il mezzo con cui il principe Mito, facendo viaggi intergalattici i incogniti, assicura una amministrazione improntata alla giustizia in tutto lo spazio. Ritornando al nostro anime, ogni puntata ricalca queste dinamiche presentandosi con il tipico schema: lo shogun con i suoi samurai si imbatte in qualche prepotente che commette abusi su contadini e povera gente; Suke e Kaku affrontano i suoi scagnozzi, battendoli grazie al Taglio a croce della spada di Suke e la forza a mani nude di Kaku, moltiplicata dalla fascia della potenza; alla fine, Suke tira fuori un vessillo di stoffa con il simbolo nobiliare (la malvarosa, proprio il simbolo di Tokugawa) di Mitsukuni Mito e intima a tutti di inchinarsi di fronte a quella leggenda vivente; gli spettatori si chiedono perché non lo abbia tirato fuori prima (risposta: per lo stesso motivo per cui il Daitarn usa l’attacco solare solo dopo innumerevoli danneggiamenti). La serie animata è resa leggera dalla presenza di alcuni coprotagonisti e compagni di viaggio come l’orfano Sutemaru con il suo cane Dembé e Okoto, una ragazza che compare solo nella prima parte della serie. I protagonisti tutti insieme appassionatamente:
Ed ecco una delle due sigle, “Tamashio Chambara”.

 


Una nota a margine: una delle poche cose belle e geniali, in mezzo a tante follie, generate nell'era C0v1d è stato questo Meme.

domenica 23 novembre 2025

Mode meteore e mode horror

 

Quale mese è migliore del lugubre novembre per parlare di horror? No, non è un post sullo Zio Tibia Picture Showè un post su alcune mode che negli anni a cui questo blog fa riferimento esplosero con gran velocità e pervasione (o perversione?) e con la stessa velocità implosero e che, neanche a dirlo, non sono ricordate per buon gusto.

Iniziamo dalla meno orripilante così da guidarvi un crescendo di pacchianeria che si mescolerà alla vostra perplessità per la serie “oh, ma davvero stai a dì?”.

1)      Pupazzetti a pinza da attaccare a vestiti e zaini


Infantile si ma tutto sommato accettabile questo vezzo di attaccare piccoli peluche vhe nascondevano un meccanismo a pinza tra le braccia che permetteva di attaccarli ad abiti, borse, marsupi e zaini scuola. Ce ne erano infinità di varianti e colori tra orsacchiotti, koala, cagnolini, scimmiette, coniglietti. Modelli che rappresentavano animaletti anonimi, con vestitini o con la loro nuda pelliccia, e altri che rappresentavano  celebrità fra gli animaletti come Poochie o Monciccì.

2)      Braccialetti di cordoncino

Quando i mezzi erano pochi  e il "baccalà fuggito" (baccalé fejeut) era principe indiscusso delle nostre tavole - sì eravamo nel boom economico, ma allora c'era un sano sistema di priorità che ci imponeva prima il risparmio per l'acquisto della prima casa, poi il risparmio per gli imprevisti della vita e per la futura vecchiaia e poi tutto il resto - anche per essere alla moda ci si arrangiava come si poteva. Ed ecco che 12 cm di cordoncino colorato, meglio se nei nuovi colori giallo, verde e fucsia fluorescenti -  preso in merceria a 100 lire diventava un braccialetto una volta che le estremità venivano fuse e unite con l'aiuto di un fiammifero. Io ne portavo una decina per ogni braccio.

P.S. una volta ne rubai uno in merceria, primo e ultimo furto della mia esistenza. Ebbi tante di quelle legnate da mia madre che la parola "onestà" mi è restata tatuata su ogni singola cellula.



3)      Mollettoni per i capelli con i fiori

Come se i mollettoni di plastica - gli stessi che oggi fortunatamente si usano solo per separare le ciocche durante la piega - non fossero già abbastanza brutti da sfoggiare, in commercio arrivò un'ondata di mollettoni a buon mercato con grossi fuori attaccati su uno o entrambi i lati. Fiori rigorosamente in tinta: mollettone rosso con garofano rosso, mollettone giallo con margheritone giallo, mollettone rosa con rosa rosa. Immaginatevi l'effetto con i capelli scalati a la Rod Stewart, cotonati a la Cyndi Lauper o raccolti a la Brigitte Bardot.


4)      Ciuccetti di plastica

Da appendere a bracciali, collane, cerniere, erano praticamente ovunque. Ognuno di noi ne indossava svariati, tutti di plastica ma di varie dimensioni, di vari colori, trasparenti o opachi. Le bancarelle ne erano invase, li vedevi su ogni teenager, ragazza o ragazzo che fosse, e talvolta anche su adulti. Si vendevano anche collane che erano pesanti ammassi di ciuccetti variopinti. Una moda che dilagò fulminea e scomparve con la stessa velocità di un tormentone estivo quando iniziano a cadere le foglie. Qua si viaggiava verso i '90.


5)      Frontini imbottiti per capelli 

I frontini per i capelli, oggi in disuso, sono stati accessori per i capelli molto popolari per decenni. Ma ricordo un anno, in particolare, in cui divennero di gran moda, conobbero un nuovo slancio, in particolare quelli di stoffa imbottiti, in varie fantasie e colori. E la vera particolarità era che li indossavano tutti, anche molti uomini dato che allora molti avevano capelli folti, ribelli e medio-lunghi. Un trend fashion che oggi non potrebbe esistere considerando l'alta diffusione di alopecia maschile.


6)      La ciabatta infradito con le bande di spugna arcobaleno

Ciabatta infradito con suola multicolore di gomma schiuma con le bande in spugna di cotone color arcobaleno. Al di là della  pacata sobrietà dei colori, quello che mi colpiva erano i 5 inserti ovali per ogni suola, ognuno di colore e dimensione differente, che rappresentavano le 5 dita sotto le quali si andavano a posizionare. In realtà quello che mi colpiva davvero è che erano estraibili, per cui persone troppo inclini  a toccarsi costantemente i piedi, ci giocherellavano, staccandoli e riattaccandoli, tra una toccata e una grattata


.


7)      La ciabatta di plastica a bande incrociate

La detesto ma ce l'ho ancora e la uso solo per entrare nella mia ampia doccia quando devo pulirla, detestando ancora di più l'idea di entrare in doccia con scarpe mentre faccio le pulizie.

Non so se la detesto più per la sua durezza o scomodità  o perché sono rasoterra (ehm ho sempre bisogno di un po' di slancio) o perché l'associo ad un uomo del vicinato, che la indossava, che odiava i bambini che giocavano in strada e più volte ci ha sequestrato il pallone e lo ha tagliato davanti ai nostri occhi addolorati. Il modello è detto Mexican immagino, ma è una mia interpretazione, perché l'incrocio e la trama bucherellata ricorda le ciabatte di fattura precolombiana (le huarache) che venivano realizzate intrecciando il cuoio.



8)      Le spalline oversize

Un altro articolo che detestavo erano le spalline che purtroppo in quegli anni venivano cucite di default sotto la fodera di ogni giacca, ma anche presenti nei cardigan, camicie e persino maglioni.

Per me che avevo già grandi spalle larghe e alte, indossarle significava fare scomparire definitivamente il collo. Se già odiavo visceralmente le spalline a giro, l'odio raggiungeva livelli da Iriza Legan quando si trattava delle ancora più orribili spalline a kimono che sformava la figura di coloro che le indossavano facendoli sembrare, almeno nel mio immaginario fanciullesco, degli alieni.



9)      Il ritorno della scarpa ad occhio di bue

Mentre oggi i bambini indossano scarpe piene di lustrini e brillantini, i bambini nati negli anni '70 conoscevano soltanto un tipo di calzature: le scarpe ad occhio di bue. Nere, austere, pesanti ma di ottima fattura come mi viene ancora rinfacciato: "Da piccola ti compravo la roba buona (...non pensate male!), le scarpe delle Balducci!".

Immaginate la felicità quando l'obbrobrio di quei buchi sorridenti sulla tomaia è ricomparso sulle nostre scarpe di adolescenti e degli adulti. Immaginate questi buchi quando potevano sembrare ridicoli su chi indossava un 45 di scarpe. In più, la scarpa era riapparsa con materiali più leggeri, come il gros-grain, in maniera da poter essere indossata d'estate, senza calzini, con gli spazi tra le dita che si vedevano dai buchi.


10)      Portachiavi di vero visone

Chiudo con l'articolo, a mio parere, più kitsch della panoramica: il portachiavi fatto con la coda o la zampetta vera di visone con tanto di unghiette ancora attaccate. Era il tempo in cui le pellicce vere erano considerate un capo elegante e lussuoso, un status symbol a cui molte massaie ambivano. Le pelliccerie erano business molto proficui e potevano permettersi di sponsorizzare trasmissioni e quiz in TV. Non era infrequente quindi che circolassero gli scarti di lavorazione, come appunto le zampette, che venivano utilizzati per creare "deliziosi" accessori. Per fortuna, almeno su questo, il gusto si è un tantino evoluto.



domenica 16 novembre 2025

Il coniglio dalle orecchie a scacchi

Dopo aver parlato di diversi anime giapponesi, americani e persino australiani, diamo oggi spazio all'animazione ungherese con un cartone animato di cui io ho pochi ricordi ma piuttosto vividi:  sembra che nessun altro delle persone da me interpellate se ne ricordi. Sto parlando di un cartone animato che veniva trasmesso nel primo pomeriggio di domenica su Rai 2, subito dopo il TG e le varie rubriche che si susseguono all'ora di pranzo: il coniglio dalle orecchie a scacchi, prodotto in Ungheria con il titolo A kockásfülu nyúl. Ne ricordo la sigla/principio di ogni puntata come fosse ieri. Questo simpatico coniglietto dalle orecchie lunghissime si svegliava e fuoriusciva da un baule in soffitta, si stiracchiava, usciva sulla terrazza e guardava in giro dal suo cannocchiale finché una qualche scena, ad ogni puntata diversa, catturava la sua attenzione. Ed ecco che si catapultava sulla scena in aiuto di qualche bambino puntualmente in difficoltà volando grazie alle sue orecchie che attorcigliava - come per dare la "carica"- per poi farle girare, srotolandole, neanche fossero pale del rotore di un elicottero. I protagonisti delle storie sono 4 bambini:
- Kriszta, una preadolescente, alta e snella, con i codini corvini che è quella che sviluppa una amicizia più intensa con il coniglio;
- Menyus, un ragazzino dai capelli rossi
- Kistöfim, un bambino molto piccolo dai capelli biondi
- Mozdony, un nerboruto ragazzo prepotente e bullo
Questi nomi li ho dovuti ricercare sui siti ungheresi perché, in realtà, il cartone animato è muto, solo accompagnato da musiche, e quindi non ci sono dialoghi da cui dedurli.
Qui alcune immagini in cui è possibile riconoscere i bambini appena descritti:



Il cartone animato ebbe un enorme successo nazionale e anche una discreta diffusione internazionale (infatti, l'assenza di dialoghi - solo sottotitoli - lo rendeva molto facilmente esportabile);  ciononostante, solo successivamente la sua popolarità ebbe sfogo nel merchandising portando nelle case degli ungheresi la versione a peluche del protagonista della serie, solo una volta che l'austera influenza della ex-URSS si era frantumata. Nella semplicità di questo cartone animato privo di dialoghi e che quindi doveva avere storie molto semplici per essere narrate solo attraverso le immagini, c'era qualcosa di magnetico per me che mi ha fatto sperare per anni - allora non c'era ancora il web - di poterlo rivedere e dare un nome ai mei ricordi di bambina anche piuttosto piccola: sono molto contenta di poter reperire tanto materiale utilizzando il titolo originale. Ho anche scoperto che il coniglio dalle orecchie a scacchi è una delle quindici mini statue di soggetti POP (tra cui Kermit the frog del The Muppet Show, il cubo di Rubik,...) realizzate dall'artista Mihály Kolodko che sono disseminate a Budapest, chicca di cui purtroppo non ero a conoscenza quando nel 2023 ho visitato questa bellissima città.


Ed ecco qui un episodio comprensivo della sigla che, nelle immagini visualizzate nel cannocchiale, introduceva già l'avventura della giornata.






domenica 9 novembre 2025

Postao Meravigliao

Scrivo questo post improvvisato dopo aver assistito ieri allo spettacolo dell'incommensurabile Nino Frassica, insieme alla Los Plaggers band, al TeatroTeam di Bari che mi ha ricordato i fasti della televisione di un tempo, quando la TV geniale, sperimentale,  leggera e spensierata eppure di qualità andò in onda a due riprese: prima con Quelli della notte (aprile-giugno 1985) e poi con Indietro tutta! (dicembre 1987 - marzo 1988).Un manciata di mesi di messa in onda per farne un pezzo importante della storia della TV, come solo grandi visionari e  innovatori come Renzo Arbore possono fare e come anni di altre trasmissioni e pacchi non potranno mai fare. Vengono tristezza e scoraggiamento a comparare quella TV alla attuale TV del vuoto o del dolore dove, grazie anche a figure come Costanzo e De Filippi, si è dato enorme spazio a gente presuntuosa, arrogante, senza arte né parte e tantomeno educazione, capace di portare in TV il dramma più becero e il nulla cosmico. Lo so che lì fuori ci sono tanti fan di Maria che farò arrabbiare ma è quello che onestamente penso di tutte le tue trasmissioni e, in particolar modo, di Uomini e Donne, elogio della volgarità e dell'analfabetismo. Ma torniamo a noi, ho dedicato già troppe righe a parlare di porcherie che non meritano attenzione. E' stato invece rincuorante come tutto il pubblico ieri potesse ancora ricordare tutte le parole di canzoni come Grazie dei fiori bis, Sì la vita è tutto un quiz, Vengo dopo il Tiggì, Il materasso e Ma la notte no, tenuta per il finale. Significa che le cose belle e ricche di calore lasciano ancora il segno. Naturalmente lo spettacolo è stato molto più di questo, con la capacità di Frassica di lanciare una freddura dopo l'altra senza tregua - se non stavi attento ti perdevi 3 battute al secondo - nonché la sua straordinaria abilità nell'improvvisazione e il suo talento , come dice qualcuno vicino a me, nell'imbrogliare i fatti, cosa quest'ultima che rende la sua comicità peculiare e distintiva, similare solo a quella di pochi (mi viene in mente il Mago Forest, altro comico che adoro e che probabilmente ne è stato influenzato). Ma per quanto parlerei per ore di una serata che è stata davvero piacevole e divertente e del fatto che ho anche avuto l'onore di stringere la mano del sig. Frassica, lo scopo di questo post è di celebrare  quel tipo di TV semplice ma sofisticata per il tanto lavoro autoriale e non solo autoriale che c'era dietro, allusiva ma mai volgare, popolare ma colta che ci divertiva e faceva sognare e ci faceva rimanere incollati alla TV in seconda serata, nonostante quella sonnolenza fisiologica dei giorni feriali, sapendo che all'indomani sarebbe stato faticoso svegliarsi presto per la scuola (come era nel mio caso) o per il lavoro (per i più grandi). 

Il format di Quelli della notte prevedeva la presenza di numerosi volti noti della TV che, intrepretando improbabili personaggi, si riunivano nel "salotto" di Renzo Arbore per animare dibattiti sconclusionati e surreali. Per esempio, lo stesso Frassica interpretava un bizzarro frate, Andy Luotto un meteorologo arabo, Maurizio Ferrini (noto anche come la signora Coriandoli) un comunista romagnolo. E' qui chiaro che si trattava della satira del nuovo format, quello del salotto televisivo, che stava prendendo piede e in particolare, in Italia, trovava la sua più popolare espressione con il Maurizio Costanzo Show. E non posso che chiedermi: se Arbore riusciva a fare un capolavoro di satira prendendo di mira quelle trasmissioni tutto sommato non male, cosa potrebbe fare prendendo come obiettivo la moderna TV spazzatura?
E in chiusura tutti questi strambi personaggi si riunivano per cantare la sigla, la già citata  Ma la notte no.


Il format di Indietro tutta! continuava a essere una satira della TV di quei tempi e dei suoi stereotipi prendendo questa volta di mira i giochi a premi  e trasmissioni sempre più attente agli aspetti commerciali, con i messaggi promozionali e frequenti interruzioni pubblicitarie, e vallette sempre più svestite qui rappresentate dalle ragazze coccodé. Una deriva che nel tempo non ha fatto altro che consolidarsi ed estremizzarsi, soprattutto con l'espansione sul mercato delle reti Mediaset (allora chiamata Fininvest) abbassando gradualmente il livello culturale. Una format che definire profetico è un eufemismo. Divenne trampolino di lancio per nuovi talenti come Francesco Paolantoni, Michele Foresta (mago Forest), Maria Grazia Cuccinotta allora nel ruolo di valletta.
Rispetto alla trasmissione precedente, Indietro tutta! ha anche accolto ospitate celebri come quella di Massimo Troisi e dei due maghi della risata Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
E per non essere da meno ai nuovi format emergenti, anche Indietro tutta! aveva uno sponsor, immaginario sì, ma che sponsor! Era il fantasmagorico Cacao Meravigliao il cui momento veniva accompagno dai sound brasileri della canzone scritta appositamente per la gag e cantata da una giovanissima Paola Cortellesi. Ed è con questo momento sponsor che vi lascio portando l'attenzione a quando la TV era colore, costumi, coreografie, risate.








domenica 2 novembre 2025

I concerti vintage dell'estate passata

Quella appena passata è stata per me una estate ricca di eventi tra cui diversi concerti di band iconiche degli anni ’70 e ’80 per cui un reportage è praticamente d’obbligo su questo blog vintage, seppur con qualche mese di ritardo (non avevo ancora  in mente di tornare a scrivere). Due di questi eventi, quelli a Bari, sono stati organizzati da Bass Culture e mi auguro con tutto il cuore che gli organizzatori continueranno ad offrirci per gli anni futuri concerti con artisti di tale calibro senza la necessità per noi pugliesi di dover vendere un rene per raggiungere Roma, Milano, Lucca, Bologna, tra biglietti (sempre troppo costosi), spese di viaggio e soggiorno, senza contare l’investimento di tempo ed energia.

Andiamo per ordine cronologico, pubblicherò alcune foto che ho scattato durante tali serate. Ho anche pubblicato alcuni reels sul mio profilo pubblico instagram dedicato a viaggi, concerti ed eventi:

My_travel_journal_and_memories

ma dovrete scorrere un po', perché da quando ho deciso di fare la bella vita, aggiorno la pagina molto spesso.😅

Bari, 18 Giugno 2025: Duran Duran


Grande Energia sul grande palco allestito alla Fiera del Levante! Il concerto si è aperto con grandi effetti sul ritmo trascinante di Wild Boys, per poi proseguire con i più grandi successi che ho cantato a squarciagola: Hungry like a wolf, Rio, ComeUndone, The reflex, Notorious, A view to a kill, solo per citare alcune delle più famose canzoni del loro repertorio a cui si sono aggiunte alcune cover come Psycho Killer dei Talking Heads.

Tutti i componenti mi sono parsi in gran forma, musicalmente parlando e lui, Simon Le Bon, sebbene con il fisico un po’ appesantito (a Bari diremmo che ha la vendrod de la Peròn), non smetteva di ammaliare con il suo fascino, la sua voce potente, le movenze e il grande garbo con cui si rivolgeva al pubblico cercando anche di comunicare in italiano. Del resto qui stiamo parlando di Simon Le Bon, mica pizza e fichi, l'idolo delle paninari di Piazza San Babila e non solo, il rivale per antonomasia di Tony Hadley (chi può dimenticare la guerra tra fan base Duran Duran vs Spandau Ballet?), un fenomeno di massa tale da meritare, qui in Italia, il film "Voglio sposare Simon Le Bon". 
Eppure chi lo ha incontrato all’aeroporto di Bari-Palese, dove i Duran Duran sono giunti con un volo privato, lo ha descritto molto affabile e disponibile a fare foto con i fans. Che dire poi di John Taylor dalla bellezza che non teme il tempo e la solitaria eleganza delle sue posture. Ho vissuto momenti di vera magia quando Simon ha imbracciato la chitarra e ha cantato sulle note di  Save a Prayer che è la mia preferita. Mi spiace che sia mancata in scaletta Skin Trade.


Ferrara, 30 Giugno 2025: Lynyrd Skynyrd 


Evento all’interno del Ferrara Summer Festival, un cartellone di tutto rispetto con artisti come Judas Priest, Slipknot, Massive Attack. Ne è valsa la pena sostenere diverse ore di viaggio in treno da Bari a Bologna per poi prendere in direzione Venezia e scendere a Ferrara, tutto al caldo afoso di luglio: questo concerto non ce lo saremmo persi per nulla al mondo visto che era l'unica data in Italia, i componenti della band invecchiano e saranno probabilmente meno disponibili in futuro a fare viaggi intercontinentali.

La serata è stata grandiosa, eccellente modo di festeggiare 50 anni di Lynyrd Skynyrd, ben 4 chitarristi sul palco ad accompagnare il buon vecchio rock del sud, schitarrando su pezzi che non hanno bisogno di presentazioni, in primis, la vecchia Sweet Home Alabama, che definirei patrimonio dell'umanità, ma anche Simple man, Tuesday's gone, That smell, Call me the breeze e altre ancora.

Poi momento di pura commozione sulle note di Free Bird, con il cantante e frontman Johnny Van Zant che, 

dopo la prima strofa, si è ritirato dietro le quinte, lasciando il palco a un microfono vestito di bandiera e cappello appartenuto al fratello Ronnie, mentre Ronnie cantava da un vecchio video in perfetto sincrono con i musicisti in live. E la visiera del mio cappellino del Generale Lee nascondeva la mia evidente emozione dagli sguardi indiscreti di estranei. 

Di notevole valore aggiunto l'apertura di Simon McBride (Deep Purple) e di Deborah Bonham, sorella di John (Led Zeppelin).

Bologna, 15 Luglio 2025: Europe


Serata di Grande Rock targato anni 80 al Sequoie Park di Bologna, dove finalmente ho visto dal vivo - e dal posto in 4a fila -  quel volto di gran figo che ammiravo sulle copertine del Cioè, Joey Tempest.
Gli Europe hanno letteralmente spaccato! Grande apertura con grandi successi quali Rock the night e Carrie e, passando per Open your heart, Superstitious, Cherokee, si sono tenuti per il gran finale la leggendaria The final countdown . Del resto con un titolo del genere, non poteva essere altrimenti. Nomen omen.
Il finale ha scatenato una vera presa d'assalto del palco che mi ha permesso di scattargli delle foto a distanza ravvicinatissima. 
Performance super di tutta la band ma in particolare di Joey che conserva tutta la sua potenza vocale, nonostante i salti, i passi di danza, le corse da una parte all'altro del palco. Grandioso! Dove si firma per essere così dopo i 60 anni?


Bonus della serata: nell'attesa del concerto, ci siamo ascoltati alcuni brani eseguite di persona pirsonalmente dall'incommensurabile Marcus Miller, che dava un concerto nell'area limitrofa.


Bari, 17 Luglio 2025: Nile Rodgers & Chic 


Vibrazioni funky di nuovo alla Fiera del Levante per questo concerto di Nile Rodgers con i suoi Chic. un grande nome nel firmamento musicale, un vero genio, una legenda della musica con i suoi riff che hanno fatto storia e una vena creativa che conosce pochi rivali a prolificità.
E questo concerto è stato, giustamente, un vero tributo alla carriera e alla vita di Nile Rodgers che oltre  a scrivere per gli stessi Chic di cui fa parte, ha scritto brani per artisti di grande livello: Diana Ross, Madonna, i Duran Duran, David Bowie, Sister Sledge, Daft punk. E ancora continua a scrivere vincendo, di recente, un grammy per una canzone scritta per Beyonce.
Insomma, difficile riassumere in poche righe cosa Nile Rodgers rappresenti nell'industria musicale, il padre del  disco funky anni '70, perciò farò parlare la sua musica.
Con un bassista che si lanciava in balli spiritosi (Jerry Barnes, con cui mi onoro di essere in contatto, che ci crediate o no) e una vocalist da brividi (Audrey Martells), la band ha eseguito i loro maggiori cavalli di battaglia (Good Times, Le Freak, Everybody dance, I want your love, ..) intervallati a brani scritti per altri (Let's dance, Material Girl, Notorious, Upside down, We are family, Get lucky e altri ancora). E poi sono passati all'esecuzione di brani che sono cover di brani scritti da Nile Rodgers mixandoli con gli originali, come Get jiggy with it di Will Smith (cover di He's the greatest dancer scritta da Nile per Sister Sledge) o Lady dei Modjo (cover di Soup for one degli Chic).
Infine, cosa che ho apprezzato da morire, lo stesso Nile Rodgers si è lanciato nella performance della celeberrima e più iconica canzone rap che mi viene in mente: Rapper's delight, nata come plagio di Good times, come riconosciuto dai tribunali. E a giusta ragione: per non riconoscere il giro di basso bisognerebbe essere sordi.

Giovinazzo, 19 Luglio 2025: James Senese

Chiudo con un grandissimo artista che ci ha lasciato pochi giorni fa: James Senese. Non godrà della fama internazionale degli altri, ma in Italia il riconoscimento del suo talento di artista e polistrumentista di strumenti a fiato (in particolar modo il Sax) è indiscusso e possiamo dire che a Napoli la sua popolarità probabilmente segue a ruota quella di Maradona e di Pino Daniele. Insieme a quelli di Napoli Centrale ha creato un genere musicale tutto suo che mescola, jazz, funky e napoletano, lega l'attaccamento alla terra e alle radici con la multiculturalità (egli stesso era figlio di un soldato afroamericano), celebra lo scambio, il viaggio, le origini, collaborando con lo stesso Pino Daniele. Sul mio profilo instagram sopra linkato trovate i reel di questa magica serata incorniciata dalle mura aragonesi del mio paese ma qui lo voglio ricordare in questo pezzo che ascolto spesso e sempre con grande emozione.

lunedì 27 ottobre 2025

Se ne è andato il ragazzo più bello del mondo

Non pianificavo di scrivere un altro post correlato a Lady Oscar per il momento, visto che ne avevo pubblicato uno solo ieri ma eccomi qui ed il motivo non è che Lady Oscar è il mio anime preferito oltre ogni ragionevole dubbio: il motivo è che è stata appena riportata la notizia della morte di Björn Andrésen e approfitto della pausa pranzo per scrivere di questo infausto aggiornamento.

Björn Andrésen, è meglio noto come "il ragazzo più bello del mondo", definizione e condanna, a detta di Andresen, cucitagli addosso da Luchino Visconti che lo ingaggiò, ancora quindicenne, per il film "Morte a Venezia". Ma perché ve ne sto parlando? Perché non tutti sanno che Björn Andrésen è e colui che con il suo volto ha ispirato Ryoko Ikeda nella rappresentazione della bellezza androgina di Lady Oscar.

E infatti direi che la somiglianza è palese: 




Onestamente non conoscevo questo attore, non avendo ancora visto nessuno dei suoi film, compreso quello del maestro Visconti (ahi ahi ahi, rimandata a settembre) e ne ho sentito parlare per la prima volta un paio di anni fa su uno dei canali che ascolto più o meno distrattamente mentre riassetto casa, dove ne hanno raccontato la tragica vita, segnata da tragedie fin dall'infanzia e culminatesi con  morte del figlioletto per sindrome dell'improvvisa morte del lattante.

In realtà è apparso in una trentina di film, di cui il più recente è "Midsommar - Il villaggio dei dannati" del 2019. Per chi volesse approfondire, esiste un documentario intitolato appunto "Il ragazzo più bello del mondo"  sulla vita di Björn Andrésen. Questo il link al trailer.

Che la terra gli sia lieve.





domenica 26 ottobre 2025

Aspettate, prendo i fazzoletti.

In attesa di preparare il prossimo post, che mi prenderà un po' di tempo, perchè richiederà copiosa documentazione fotografica che devo recuperare dal mio telefono, voglio oggi condividere un trauma infantile di quelli che non si dimenticano mai. Altro che la morte della mamma di Bambi, altro che Artax il cavallo di Atreyu, qui si parla della morte, per crivellazione da armi da fuoco, di Oscar Francois DeFrançois de Jarjayes! Un momento pregno di dolore ed epicità che - confesso - non riesco ancora a guardare senza piangere fiumi di lacrime neanche fosse un videoclip musicale di Carmelo Zappulla. . Eh, sdrammatizzo, qui il trauma è reale e profondo! Un momento di una tristezza infinita seguita a ruota, quanto a tristezza, dalla morte del caro Andrés, ma poi proprio all'indomani del loro finalmente, tanto atteso, incontro copulatorio che pone fine alla castità trentennale dei protagonisti. Volevo mettere un video del fatidico momento nel bosco ma con mio grande disappunto ho notato che questo tipo di contenuto è stato rimosso da Youtube. In compenso sono comparsi come funghi montaggi patetici di tali scene - che mi rifiuto di mostrare - con insopportabili voci narranti (ecco, non abbiamo bisogno che ci spieghiate la scena abbastanza eloquente) e colonne sonore che spaziano dalla Pausini a Paola e Chiara. Insomma, non potete immaginare le bestemmie. Mi limiterò quindi a mettere un fotogramma e a linkarvi questo video in giapponese (tanto non serve la traduzione😀).
Una morte annunciata data la probabile diagnosi di tisi per Oscar che già da un po' tossiva sputando sangue ma che lascia spiazzati per quell'immenso senso di ingiustizia per due, come dice lo stesso Andrés, la cui felicità era appena iniziata. Quella sensazione di sangue che si raggela ben rappresentata da quell'improvviso soffio di vento tra i capelli di Oscar quando realizza che stava parlando con un Andrés che era già morto. Due storie, due vite spezzate troppo presto e proprio quando il coraggio di fare una scelta di autenticità verso se stessi aveva finalmente prevalso sulle convenzioni e differenze sociali, sulla oscurità di quei giorni cruenti che accompagneranno tutta la rivoluzione francese, sulla rassegnata accettazione del destino di una donna il cui corpo era stato destinato ad una uniforme dal giorno in cui era nata.
Ecco il video che mostra la morte di entrambi, sperando che qualche nullafacente (in gergo Stangachiazz) in cerca di visualizzazioni non abbia l'alzata di ingegno di andare a sostituire alle commoventi ed eroiche colonne sonore di Koji Makaino qualche brano di Marco Masini.
E a proposito della spettacolare collana di BGM (Back Ground Music) approfitto per condividere un video di un pianista molto talentuoso, dal quel che vedo, che è entrato a pieno titolo nella playlist non solo dei miei preferiti ma anche dei brani preferiti per la siesta dei miei diamanti mandarini.
Chiudo con una BGM dedicata agli amori impossibili che non muoiono mai.

venerdì 17 ottobre 2025

Il mondo rosa e fucsia di Poochie


Se penso a una imponente campagna di merchandising degli anni ’80, la prima immagine che mi viene in mente è quella di Poochie e le sue codine di capelli fucsia, imponenza che si spiega facilmente con il fatto che Poochie è un personaggio della Mattel, una marchio che è una garanzia quando si tratta del lancio di un’icona e relativi gadget su scala planetaria. 
Poochie è una barboncina (“poochie” infatti deriva da “pooch”, cagnolino) dal pelo bianco, i già menzionati capelli fucsia, occhiali da sole viola e accessori dorati, che negli anni ’80 era amica fedele di ogni bambina che era capace di stare tranquilla seduta al tavolo a giocare con i timbrini tra un gira la moda e un sapientino, insomma, un target in cui personalmente non rientravo nella maniera più assoluta, con i miei capelli che mi facevano portare sempre corti (contro la mia volontà) e il Super Tele sotto il braccio. Cionondimeno mi piaceva disegnarla e ammetto che di recente, con lo stesso spirito di rivalsa per cui non taglio più i capelli, ho acquistato una bellissimissima t-shirt di Poochie che indosso con orgoglio (dovrò decidermi a fare un post su dove trovare tutte queste chicche). 
La gamma dei prodotti con l’icona di Poochie era quanto mai varia: giocattoli e peluche, zaini, borsette, cancelleria varia (quaderni, matite, righelli, astucci, diari, forbicine, porta scotch, pastelli …), scatole di latta, scatole porta merenda, scatole portasapone, accessori e cosmetici, portamonete, porta fazzoletti… persino un grembiule per pittura (potete gustarvi l’enorme varietà di tali oggetti visitando siti come ebay). Fra tutti i gadget, particolarmente popolari erano i Timbrini, con poochie o uno dei suoi amici per manico, fatti per stampare frasi affettuose come “Forever friends”, “Ti voglio bene”. La popolarità di Poochie, almeno qui in Italia, è stata tale e tanta da dedicarle una rivista “Poochie e i suoi allegri amici” che è stata stampata, udite udite, fino al 1997. A chi ha apprezzato questo post e vuole calarsi nei ricordi delle altre icone di quegli anni, consiglio questo post.




 

mercoledì 15 ottobre 2025

Hey, papà, guarda, un pollo!

Prendo in prestito il motto di un famoso spot degli anni 80 per introdurre questo simpaticissimo cartone animato americano che diverte già dalla sigla: Super Chicken (o Super Pollo). Prodotta da Jay Ward e Bill Scott, la serie ripercorre le avventure di un aristocratico ram-POLLO (è proprio il caso di dirlo) dal nome altisonante Henry Cabot Henhouse III (con tanto di maggiordomo, Fred) che all’occorrenza si trasforma in supereroe mascherato senza macchia e paura. Non vi ricorda per caso qualcuno? Tipo una certa coppia formata da Bruce Wayne e Alfred Pennyworth (…”Fred”)? O, volendo, da Ratman e Arcibaldo seppure quella di Ortolani sia un’opera posteriore e certamente parodistica? Vestito a metà tra D’Artagnan e Zorro, con i suoi stivali Wellington e il suo infallibile fioretto si lancia con la sua Batmobile, ehm, con la sua Super Coop (automobile a forma di uovo) all’inseguimento de più infami e improbabili criminali, augurandosi sempre che non ci sia nessuno a guardare i suoi passi falsi. Fred è il maggiordomo e compagno di disavventure: vestito in maniera molto casual per essere un ingessato maggiordomo, con sneakers e maglioncino a dolcevita con la stampa “F” della sua iniziale. E’ un ossimoro vivente in quanto leone e vegetariano: qui riconosco lo stesso umorismo che sta nel chiamare una puzzola Odie Cologne e infatti i produttori sono gli stessi di The Rocky and Bullwinkle show. Dinamica classica di cartoni come questo è quella di utilizzare dei tormentoni: frasi che vengono ripetute ad ogni episodio che ne diventano il marchio di fabbrica, forse il momento più atteso nella sua rassicurante ripetitività. In questo caso, ognuna delle 17 puntate si conclude con un Fred claudicante e scombussolato a cui il nostro Super Chicken  risponde con frasi che, con parole diverse, sempre intendono “lo sapevi che questo era un lavoro pericoloso e lo hai scelto lo stesso!”. Non tutti sanno, soprattutto al di fuori degli States, che il personaggio di Henry Cabot Henhouse è una citazione e parodia del politico e diplomatico Henry Cabot Lodge Jr, da cui mutua il nome e l’appartenenza elitaria. In generale, il cartone animato si fa beffe dei Boston Brahmins esponenti della crème sociale ed economica bostoniana di discendenza puritana e del gruppo sociale WASP (White Anglo-Saxon Protestant).  E' tutto dire che si Henry Cabot si trasformasse in Super Chicken bevendo Martini! Super Chicken era trasmesso come segmento all’interno del cartone animato George della Giungla – dalla formidabile sigla – insieme a Tom Slick. Che parta la sigla!

martedì 7 ottobre 2025

La zona crepuscolare

 "La zona crepuscolare", questo sarebbe il titolo, se tradotto letteralmente, della fantastica serie "The twilight zone" al pubblico italiano conosciuta come "Ai confini della realtà": questa volta, nel Paese di "Se mi lasci ti cancello" e altre licenze poetiche ridicole, non potevano scegliere un titolo più accattivante per una serie visionaria, creativa, innovativa. E' una serie in bianco e nero  prodotta tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60 ma che molti di noi, per ragioni anagrafiche, associano agli anni '80, quando è stata riproposta su Italia 1, dopo la prima trasmissione negli anni '60 su Mamma RAI. Sempre negli anni '80 fu prodotto l'omonimo film che riproponeva tre degli episodi della serie originale, un film passato alla storia anche per la tragedia consumatasi sul set che costò la vita, in modo a dir poco brutale, a Vic Morrow e ai piccoli attori vietnamiti Myca Dinh Le e Renee Shin-Yi Chen.

Ho recuperato e rivisto tutta la serie qualche anno fa e  - wow! - solo allora sono riuscita a cogliere quanto potenziale, quante idee e quanta creatività ci sia in ogni singola puntata: credetemi, non esagero nel dire che ogni singolo episodio ha potenziale sufficiente per creare una intera saga! Migrazioni planetarie, sistemi a due soli, scenari post-atomici, invasioni aliene, magia, occulto, illusioni, tecnologie avanzate, androidi, mistero, sogno, psichiatria, pazzia, paranormale, sensitività, viaggi nel tempo, questi e altri sono gli ingredienti di una serie assolutamente straordinaria per quei tempi.

Il mio episodio preferito è "Il tempo di leggere", metafora, senza voler essere riduttiva,  in generale del detto "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane" nonché di molti momenti tratti dalla mia autobiografia,  storia di resistenza e resilienza (termine, quest'ultimo, qui necessario ma che detesto... sappiatelo).

Fa sorridere come alcuni oggetti oggi di uso comune, come telecomandi e telefoni portatili, siano presentati come diavolerie tecnologiche fantascientifiche, stesso concetto ritrovato nella lettura dei fumetti fantascientifici americani degli anni 50 come Weird Science.

Ed eccomi alla fine di questo post scritto tutto di un fiato mentre attendo in uno studio medico per l'immancabile visita di idoneità prevista quando si cambia datore di lavoro. Ce l'ho fatta a scrivere senza spoilerarvi troppo: non vi resta che recuperare la serie e divorarla!




domenica 5 ottobre 2025

Tutti pazzi per i robot!

Uno dei temi più distintivi degli anni 80 è la spinta verso la robotica e la cibernetica, non solo in senso industriale ma anche culturale: anni di fervente produzione di film, cartoni, fumetti, giocattoli, serie televisivi e merchandising dedicati ai robot e androidi. Impossibile affrontare il tema in un post... preferisco soffermarmi su quell'interesse ed entusiasmo che avvolgevano questo mondo, entusiasmo che oggi non mi sento purtroppo di condividere in riferimento al contesto attuale dove le macchine hanno occupato buona parte dello spazio che un tempo era occupato dai rapporti umani. Ma non è il caso di intristirci su questi sviluppi, rimaniamo nello spirito leggero di questo blog, quando per noi i robot e gli android erano per noi eroi, eroi, eroi, per noi supereroi che rischiano per noi .
Robocop, Terminator, Corto Circuito, Blade Runner sono grandi indimenticabili e indiscutibili capolavori generati dallo spirito di quei tempi, entusiasta sì ma già attento ai potenziali rischi di una ribellione delle macchine sugli uomini. Tema a suo modo affrontato anche nelle serie robotiche a cartoni animati nelle classiche puntate in cui il robot di turno veniva sottratto alle forze del bene per essere usato contro di esse. E a proposito di serie robotiche lo pubblichiamo un bel selfie di gruppo? Ma certo che sì, una bella foto in scala 1: Daitarn III, aguzzate la vista per trovare Jeeg, detto anche O' nano.
Si narra che l'idea del robottone sia venuta in mente a Go Nagai, strepitoso genio di cui mi onoro di aver stretto la mano al Comicon di Napoli del 2007, sia venuta quando, bloccato nel traffico, ha desiderato ardententemente che delle lunghe gambe spuntassero dalla sua automobile per camminare al di sopra delle altre. Certo è che Egli ha dato il via a un filone, quello delle serie robotiche, appassionante e seguitissimo, a cui hanno contribuito numerosi sceneggiatori e disegnatori. Le serie robotiche si sono moltiplicate, plagiate, assomigliate, riprodotte come funghi ma ritengo che nessuna serie robotica successiva abbia toccato le vette di epicità dei suoi primi due Mazinga e Goldrake. Alle serie robotiche si sono poi affiancate quelle degli androidi, metà uomini o metà macchina, come il celeberrimo Kyashan, Cyborg 009, le varie supergirl (come Nanà Supergirl) o umani comunque capaci di trasformarsi in macchine (Polymar, Tekkaman,...). E anche serie non proprio robotiche, come Yattaman, Calendarman, i Predatori del tempo, che si concludevano comunque con scontri tra robot bizzarri. Menzioniamo anche i robot "comici" Arale e Robottino.  Volendo andare oltre il mondo degli anime, come non ricordare serie televisive quali L'uomo da sei milioni di dollari e, il suo spinoff, La donna bionica: non proprio dei robot, ma degli umani che comunque, grazie agli arti bionici, raggiungevano velocità e potenze tipiche delle macchine. E poi lei, la simpaticissima Super Vicky (Small Wonder):
Chiudo con la performance del mitico David Zed (o Mr Zed) con i suoi capelli da Big Jim, volto noto della RAI di quei tempi, anche accanto a prime donne del calibro di Raffaella Carrà e Stefania Rotolo, che canta R.O.B.O.T. La scrittura di questo post mi ha anche fatto scoprire che esiste un Dipartimento Europeo per la Tutela degli Androidi di cui Mr Zed è attualmente presidente. Sono esterefatta!
P.S. Indicate nei commenti i vostri ricordi robotici legati a questi anni!